martedì 3 febbraio 2015

De Reditu Meo

A giugno dell'anno scorso, ormai più di sei mesi fa a pensarci bene, si sono stancati di avermi fra i piedi all'Università e mi hanno dato 110 calci in culo con calcione finale. Sì, è andata bene, e no, forse non tutti quei 110 calci in culo erano meritatissimi. Ma ne sono uscito, nel bene e nel male.
Tante parole dette, troppe parole non dette, come sempre. E tanta nostalgia di un mondo nel quale non solo avevo un ruolo riconosciuto, e non è poco, ma riuscivo pure bene. La vita passa e, come spesso accade anche ai migliori di noi, ho cominciato a "lavorare". Per ora come stagista, poi chi vivrà vedrà (quindi io no).
Solo che... un bel giorno getto l'occhio su un bando di master in europrogettazione e integrazione europea: in pratica, la versione seria della mia laurea magistrale, però non erogata come laurea magistrale e ancora più costosa.
Fatto sta che mi consigliano di fare questo master, e mi butto: oggi mi hanno ammesso alla frequenza.
Non sarà come una volta, continuerò a lavorare la settimana (che culo), ma... ma è un ultimo rivedersi con il vecchio mondo al quale ancora adesso rimango affezionato e sotto sotto nostalgico.

 

mercoledì 31 dicembre 2014

Un anno e un mese

Un anno e un mese che non scrivo. Un motivo ci sarà, ma non so quale. Troppe paranoie, probabilmente, o forse troppa accidia. Qualcosa di troppo ci sarà. O forse no.
Vabbè.
Ce ne sarebbero di cose da raccontare, o forse no. Un anno alla fine scorre in fretta, ma è denso di eventi, di storie, di esperienze.
Di nuovo, vabbè.
Ora è la notte tra il 30 e il 31 dicembre - festa un po' assurda quella di Capodanno - e mi sono reso conto di una cosa stupida. Su Facebook, i contatti dei compagni di classe del liceo sono una sequela quasi ininterrotta di feste, di chiccherie (si dice così?), di esibizioni del buon vivere. Facce vuote, talmente vuote da risultare in espressioni vacue, quasi affaticate. Tutti in forma ovviamente, tutti con il corpo esibito in modo quasi disperato, nel trionfo dell'edonismo.
Nel mentre, stavo sillabando nel mio russo rudimentale un articolo sulla situazione a Mariuopol, la città sul Mar Nero in Ucraina sud-orientale, in Ucraina sud-orientale e non in Novorussia perché la popolazione ha costituito le sue milizie e combatte contro i novorussi.
Sì, è sbagliato e indice di arroganza, probabilmente poco sensata, ma mi sono sentito superiore, o quanto meno non così derelitto nel conformismo spinto fino al vuoto pneumatico di questi miei ex compagni di classe.
In quel che ho visto su Facebook (quindi magari non ho visto assolutamente nulla della loro vita) si presentano come persone dedite alle feste più o meno eleganti, che vengono concepite come loro scopo finale e intrinseco. Sarò nerd io, ma l'ultima festa a cui ho partecipato è finita in una rissa in amicizia tra Skin88 (skinhead neonazisti) e R.A.S.H./S.H.A.R.P. (skinhead comunisti e anarchici), a sua volta terminata in una bevuta generale e in una battaglia trasversale a palle di neve. Io ero lì perché esco con la sorella di uno dei partecipanti alla rissa, ma vabbè. Il punto, molto semplicemente, è mi è sembrata cinquanta, cento volte più autentica e godibile di una qualsiasi delle feste ostentate sui quei profili, dove il più trasgressivo aveva una giacca di velluto rosso scuro ed era senza cravatta (!) e tutti sorridevano bolsi.
Certo, loro in buona parte hanno i soldi e alcuni perfino un'attività da portare avanti. Ma io ho la vita.

domenica 1 dicembre 2013

Sono sempre felice, sai perché? Perché io non mi aspetto niente da nessuno, l'attesa fa sempre male. I problemi non sono eterni e hanno sempre una soluzione. L'unica cosa che non ha soluzione è la morte.

Non permettere a nessuno di offenderti, di umiliarti. Non devi assolutamente farti abbassare l'autostima. Le urla sono l'arma dei vigliacchi, di coloro che non hanno ragione. Troverai sempre persone che ti vogliono dare la colpa del loro fallimento ma ognuno avrà ciò che merita.

Goditi la vita perché è molto breve, amala pienamente e sii sempre felice e sorridente, vivi la tua vita intensamente.

E ricorda: prima di discutere, respira; prima di parlare, ascolta; prima di criticare, esaminati; prima di scrivere, pensa; prima di far male, senti; prima di arrenderti, prova; prima di morire, Vivi.
William Shakespeare

lunedì 2 settembre 2013

Wake me up when September ends

Ormai in questo blog ci entro una volta ogni morte di Papa (e adesso qualcuno a San Pietro starà facendo *sgrat sgrat*) ma non perché non abbia cose da dire, più o meno serie. Semplicemente sono troppo pigro. O forse è quello che, con un gioco di parole davvero poco felice, si potrebbe chiamare il "Bloggo dello scrittore".
Ad ogni modo.
È settembre. E tradizione vorrebbe, ormai dalla ehm, seconda seconda liceo, che scriva un post di riflessioni e di aspettative sull'anno, scolastico o accademico, che sta per cominciare.
Solo che... non comincerà nessun anno accademico.
Gli esami, li ho finiti, e anche con una media soddisfacente. Lezioni, quindi, non ne devo più frequentare. E questo è un cambiamento di rilevo, visto che è la prima volta da 19 anni che comincio un autunno senza avere la prospettiva di andare, sedere dietro un banco e ascoltare un insegnante - variamente appellato nel corso del tempo - dire le sue cose e poi prendere e andarsene via.
Diciannove anni: gli studenti che ora cominciano l'università sono nati quando io andavo in prima elementare.
Peggio, mi sono diplomato mentre i ragazzini che vanno in prima elementare adesso venivano al mondo.
Certamente ho ancora la tesi davanti a me - e anzi domani devo andare dal relatore - e ho intenzione di frequentare alcuni corsi aggiuntivi a Giurisprudenza, ma non è più un ambito strettamente accademico. Ancora devo vedere come affrontare questo cambiamento, se cambiamento effettivo ci sarà.
Certamente è presto perché me ne renda conto, e si vedrà solo quando gli "altri" cominceranno le lezioni e io me ne starò in biblioteca o in aula studio a studiare per la tesi.
Per ora potrebbe essere semplicemente che ho finito gli esami di quest'anno a luglio. Ma non è così e, per la prima volta dopo quella che a me pare un'eternità, (ri)comincerò a scandire il tempo in base a qualcosa di diverso rispetto al concetto di dover andare a lezione.
Certo, se mi guardo indietro non posso che rimanere stupito del percorso fino ad ora compiuto. Non necessariamente orgoglioso - sono tante le cose che cambierei con il cimiteriale senno del poi - ma un po' sbalordito. Non ho molte foto di me seienne, ma mi riesce ancora strano essere convinto che "quello" lì, l'aria un po' imbranata e spersa, sia riuscito ad andare avanti fino a diventare "questo" qui. Non so se sia stato un buon affare per il ragazzino magro e insicuro che a settembre del 1994 attraversava il portone della scuola elementare di un quartiere sconosciuto, ma so che l'affare, almeno per la prima parte, sta per concludersi del tutto. È una sensazione un po' strana, ma non sgradevole, anzi.


P.S. Per il titolo: l'ho deciso alla fine, e sì, dall'ormai lontano 2005 è stato impunemente abusato da orde di persone con una fantasia davvero in disarmo. Ma, ehi!, sono le due di notte.
E, a proposito degli autori dell'abusato titolo, i c.d. Democrats, o i c.d. Liberals o simili potrebbero anche andarsi a nascondere: tanto pronti a strillare quando un avversario di partito attaccava una nazione a orientamento laico, nazionale e sociale (l'Iraq Ba'thista) quanto lesti a stare zitto quando un loro presidente (e per di più mezzo africano, bonus super per tacitare le critiche) sta per fare la stessa cosa. Evidentemente hanno visto cosa ne è stato dell'Iraq e il risultato sta loro bene. Mi raccomando, andate avanti così.
De gustibus.

mercoledì 8 maggio 2013

Cum intelligam, miser sum.

«Ad Antoine era sempre sembrato di avere l'età dei cani. Quando aveva sette anni, si sentiva logorato come un uomo di quarantanove; a undici, aveva il disincanto di un vecchio di settantasette. Ora, a venticinque anni, sperando in una vita un po' più dolce, Antoine decise di coprire il proprio cervello con il sudario della stupidità. Troppo spesso aveva osservato che l'intelligenza è parola che designa sciocchezze ben costruite e graziosamente enunciate, ed è talmente traviata che sovente è più vantaggioso essere stupidi che intellettuali doc. L'intelligenza rende infelici, solitari, poveri, mentre mascherarla permette un'immortalità da rotocalco e l'ammirazione di quelli che credono in ciò che leggono.»

Martin Page

lunedì 29 aprile 2013

Uomini e no.

Forse è necessaria una premessa a questo post, forse definibile "politico". La mia formazione culturale si colloca a destra, neanche tanto moderata, neanche tanto basabanchi. Tale formazione culturale - e connessa militanza, ormai definibile come giovanile - mi ha trasmesso i soliti valori che si associano alla Destra: nazione, patria, Stato, identità, onore, visione spirituale della vita, libertà, e così via, senza che questo si rifletta oggi necessariamente in un sostegno elettoale o concretamente politico alla destra attuale. Non sono né mi ritengo un neofascista, non mi appassionano le glorie molto presunte dell'antifascismo.
Siccome questa Nazione ha goduto dal 1968 al 1983 di una fase di intensa violenza politica diffusa - oltre alle bombe e alle stragi, intendo - tanto i neofascisti quanto i comunisti hanno causato numerosi feriti, numerosi invalidi, numerosi morti. Morti che pesano, e che pesano soprattutto nella crescita dei "militOnti" odierni, siano essi di destra o di sinistra.
Uno di questi morti è Sergio Ramelli.
Sergio Ramelli era un militante del Fronte della Gioventù di Milano. Pacifico. All'epoca, uno dei pochi.
Sergio Ramelli il 13 marzo 1975 fu sprangato con le chiavi inglesi "Hazet 36" da militanti di Avanguardia Operaia. Aveva scritto un tema sulle Brigate Rosse, che avevano cominciato a uccidere nei mesi precedenti.
Sergio Ramelli il 29 aprile 1975, dopo quarantasette giorni di agonia, morì tra le braccia della madre.
Sergio Ramelli aveva 19 anni, non ancora compiuti.
È uno dei morti che, nella tradizione di destra, pesa di più e fa più male. Non fu il morto più giovane, ma fu il morto più assurdo. Mario "Cremino" Zicchieri fu ammazzato come un cane a sedici anni, ma era un militante tra i più aggressivi della sua sezione, quella del Prenestino a Roma. In una logica, comunque perversa, di scontro militare era una delle vittime forse più prevedibili, quando le armi giravano ancora solo fuori dai partiti in Parlamento. "Sergio", come confidenzialmente viene chiamato, no. Non c'era alcuna logica nella sua morte, se non il delirio di una polizia politica autonominatasi tale. Paradossalmente, fu colpito in testa, dirà uno degli assassini al processo, a causa di un residuo di umanità: se l'avessero colpito in viso lo avrebbero sfigurato.
Stamattina, mentre entravo in facoltà, ho visto una persona che strappava accuratamente il manifesto affisso in suo ricordo. Non sono riuscito a fermarlo, e mi chiedo che differenza ci sia tra costui e gli animali che cantavano "Ramelli con una riga rossa tra i capelli", di quaranta, trenta, venti, dieci anni fa.
Sergio Ramelli, forse, è morto un'altra volta.

sabato 23 marzo 2013

In memoriam.

Oggi sono stato a un funerale. È morto un fratello del compagno di mia zia. Non ho mai conosciuto il morto, sapevo solo che era malato da tempo. Tuttavia, la lettura del laico che è stata fatta mi ha fatto pensare a un amico, il cui anniversario della morte ricorreva l'altro ieri, che conoscevo e ammiravo meno di quanto meritasse lui e più di quanto meritassi io. Mi sembra una buona lettura da condividere, per la sua levità, che si accompagna alla sua profonda dolcezza. È una poesia di Sant'Agostino da Ippona.
La morte non è niente. Sono solamente passato dall'altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.
Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.
Sant'Agostino

martedì 19 marzo 2013

Tre anni in cinque

Le lauree triennali dei miei paricorso sono state fonte di allegria e contentezza - in alcuni casi di gioia e di piacere. Fino, poniamo, a novembre del 2012.
Oggi ho partecipato a due lauree di miei paricorso e ho provato imbarazzo e terribile anacronismo.
Imbarazzo per loro: sono usciti dalla triennale a marzo del quinto anno, mentre i "regulares" già intravedono la tesi della magistrale;
Terribile anacronismo per noi tutti, che cercavamo di fare rivivere lo zeitgeist (spirito dei tempi) d'allora, mentre nella compagnia sono rimasti in tre, ora, a non essersi ancora laureati. E questo è senz'altro il meno, essendosi sfaldato (quasi) ogni legame residuo.
Davvero, l'università sta volgendo al termine e si sente.

martedì 26 febbraio 2013

Bibliofilia


«Non prestare mai libri, perché nessuno li restituisce; i soli libri della mia biblioteca sono quelli che mi hanno prestato».
Anatole France

lunedì 25 febbraio 2013

Elezioni - 02

In parte c'è da smentirmi, l'affluenza è in drastico calo. Ma sono convinto tuttora che sarà un calo a macchia di leopardo. Vedremo fra ormai poche ore.